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22 maggio, 2011

Pompei e il suo verde




Gli orti e i giardini dell’antica Pompei costituiscono un documento unico al mondo, perché sono l’unico esempio tangibile dell’organizzazione del verde in una città, seppure di provincia, di duemila anni fa. L’antica Pompei infatti non era, come del resto qualsiasi città moderna, fatta di sole strade e edifici: c’erano spazi verdi pubblici e privati e ogni casa, ricca o modesta che fosse, aveva il suo giardino.


In particolare i quartieri che si sviluppavano intorno all’Anfiteatro, come tutti i quartieri periferici che vivono le inevitabili trasformazioni legate all’espansione urbanistica, ospitavano una miriade di aree verdi con diverse destinazioni d’uso: questo ha fatto sì che in uno spazio relativamente limitato, facendo rivivere orti e giardini, possiamo oggi passeggiare in un minuscolo viridario, godere della vista di un bel vigneto, stupirci per i giochi d’acqua di un piccolo ma sontuoso parco. In questi giardini, talora molto estesi, talvolta costituiti da un piccolo fazzoletto di terra, venivano coltivate piante utili e ornamentali, alcune all’epoca esotiche come peschi e limoni che le moderne tecniche di indagine permettono di riconoscere attraverso i resti restituiti dallo scavo: lo studio di pollini, legni e semi, ha permesso infatti l’identificazione delle specie coltivate, mentre i vuoti lasciati nel terreno dalle radici stabiliscono la dislocazione e l’età delle essenze messe a dimora.

Alcune colture rivestivano particolare importanza nella vita quotidiana degli antichi pompeiani, come quella viticola; altre erano alla base di particolari produzioni artigianali, come la preparazione di unguenti e profumi; altre ancora erano oggetto di consumo familiare o di vendita al mercato cittadino. La fertilità del suolo permetteva la coltivazione intensiva degli orti, per cui i raccolti erano ripetuti nel corso dell’anno: si privilegiava comunque la coltura di quegli ortaggi che potevano essere conservati in aceto e/o salamoia, per essere poi consumati nell’arco dell’anno; e tra i frutti noccioli, fichi, meli, peri, uve da tavola, perché potevano essere consumati sia freschi che secchi, o, nel caso delle pesche, conservati nel miele.

A tal proposito è stato importante qualche anno fa il ritrovamento di un’area verde adibita a vivaio di essenze arboree, perché ha permesso di definire le specie più comunemente coltivate nei giardini pompeiani.
Il terreno, nei pressi dell’Anfiteatro, appariva attraversato in direzione est-ovest per tutta la lunghezza da otto porche (rincalzi di terra) alte mediamente 20 centimetri, su cui erano ben visibili molti fori talora singoli, talvolta riuniti in gruppo, posti a distanza regolare l’uno dall’altro. Due cavità di più grandi dimensioni apparivano allineate su un asse ideale parallelo ai rincalzi, che divideva il giardino in parti uguali. Il tipo e la dimensione dei calchi realizzati colando gesso nelle cavità, i cocci per il drenaggio ritrovati sul fondo di molte cavità, l’o rientamento dei filari tipico di questo tipo di coltura e la distanza tra le piante e tra i filari già suggerivano l’idea che l’area fosse adibita a vivaio, ipotesi confermata poi dal riconoscimento di pollini e legni.

La comparazione di tutti i dati ha permesso infatti di stabilire che l’area era occupata da un vivaio di specie arboree costituite da 160 talee o marze di noccioli, peschi, pruni, fichi, che al momento dell’eruzione avevano una età compresa tra uno e tre anni.
Il vivaio era ombreggiato da un grosso faggio e da un ontano, quest’ultimo utile per fissare l’azoto nel terreno: entrambe essenze a foglie caduche e quindi spolianti d’inverno, quando era necessario disporre della massima insolazione.

Le specie coltivate a vivaio indicano dunque chiaramente quelle che erano le piante più richieste sul mercato: alberi di piccola taglia adatti ai piccoli orti urbani ed essenziali nell’economia familiare. Poi qualche vite, immancabile ed utile ornamento dei triclini; ed infine alcuni alberi di grossa taglia (olivo, faggio, quercia, pino) destinati a orti di più grandi dimensioni.
Del resto anche le piante coltivate nei «viridari», cioè quei piccoli giardini che avevano soprattutto una valenza estetica nell’architettura della casa, erano diversamente utilizzate nella vita di ogni giorno: ad esempio, spesso il giardino costituiva anche la farmacia di casa, perché gran parte delle piante utilizzate a scopo ornamentale avevano, o si riteneva che avessero, proprietà medicinali: «Per uso medicinale si coltivino la panacea, il glaucio, il papavero, la rucola e il crescione – suggeriva Columella, e per preparare corone sacre, da offrire agli dei, si seminino le calendule, i narcisi, le bocche di leone, giacinti bianchi e azzurri, viole scure e gialle, gigli e rose».

Una conferma viene dallo studio della Casa dei Casti Amanti lungo via dell’Abbondanza, dove qualche anno fa fu riportato alla luce un viridario di cui era perfettamente leggibile il disegno delle aiuole: è stato il primo esempio di spazio verde ricostruito in tutte le sue parti, architettoniche e vegetazionali, mediante una complessa ricerca condotta sulle aiuole, sulle cavità lasciate dalle radici nel terreno, sul terreno stesso, identificando i pollini, i semi e i legni in essi conservati. Il viridario, che misurava 7 x 14 metri e quindi occupava poco meno di 100 metri quadrati, era costituito da aiuole rincalzate e ripartite da vialetti in terra battuta che formavano un complesso disegno geometrico, creato tenendo conto della disposizione delle stanze che vi si affacciavano, concepite in maniera tale da allungarne prospetticamente la profondità.
Le aiuole erano recintate con grillages di cannucce (Phragmites australis) intrecciate a due a due sostenute da canne più grandi (Arundo donax) poste ad intervallo di un metro l’una dall’a ltra: a ridosso erano coltivate un gran numero di piante di Artemisia, probabilmente abrotano (Artemisia abrotanum) o assenzio (Artemisia absinthium), entrambe specie medicinali, e di Lychnis coronaria, una pianta dai fiori rossi usata nella composizione di corone rituali.
La simmetria delle aiuole era sottolineata dall’alternanza di cespugli di rose e di alberi di ginepro, questi ultimi dal fogliame di colore verde cupo, messo in contrasto con il colore argenteo delle foglie di Artemisia: sia le rose che i ginepri sono specie ornamentali utilizzate in antico anche a fini terapeutici. Tutto ciò suggerisce un sapiente uso scenografico delle piante utili.
Il viridario era completato da festoni di viti, che mascheravano il muro di fondo, mentre lungo la canaletta di scorrimento dell’acqua crescevano numerosi felci (Polypodium australe) usate anch’esse come piante medicinali.

In città non mancava poi il «verde pubblico», legato a spazi comuni come le terme, le palestre, i templi e, appena fuori città, i recinti funerari. La Grande Palestra, ad esempio, era ombreggiata da grandi platani disposti in duplice filare, mentre nei recinti funerari sono state trovate tracce di coltura di cipressi secondo un’usanza tramandata fino ai nostri giorni.


* Il testo è tratto da Pompei verde di Annamaria Ciarallo, edito dalla Soprintendenza Archeologica di Pompei

Nella foto il celebre affresco nella Casa del Bracciale d’oro a Pompei, raffigurante un giardino con piante e uccelli identificabili, e arredi da giardino quali oscilla appesi, pilastrini decorativi e fontane.

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