Related Posts with Thumbnails

08 maggio, 2011

Fantasmi barocchi


 Se oggi la conservazione del patrimonio artistico è un imperativo assoluto e indiscutibile, in passato stili e linguaggi nuovi si sono susseguiti con modalità sovente distruttive. E come accadeva per le facciate degli edifici nelle vie cittadine e per la decorazione degli interni, così anche l'aspetto dei parchi mutava a seconda della moda, ridefinendosi ogni volta attraverso la cancellazione parziale o totale dell'impianto originario.
Perciò, chi si recasse a Villa Mansi, a Segromigno vicino a Lucca, nella speranza di poter ammirare il fastoso tracciato barocco dell'unico giardino ideato dal messinese Filippo Juvarra – uno dei principali interpreti dell'architettura settecentesca europea – rimarrebbe deluso. E questa non è nemmeno l'unica veste del parco a esser scomparsa attraverso la sua storia secolare. Allo stesso modo non sono rintracciabili neppure i segni tardocinquecenteschi impressi dai Benedetti, primi proprietari documentati, né vi restano le vestigia della trasformazione attuata dall'urbinate Muzio Oddi per il conte Felice Cenami tra il 1634 e il 1635.
La grande stagione della villa e del parco, che oggi appartengono a Claudia Salom, comincia nel 1675, quando entrano a far parte dei beni di Ottavio Mansi, esponente di primo piano del patriziato locale, reso potente dai lucrosi traffici commerciali. "De' Mansi il bel soggiorno / Quanto discende in mostra / Di sculti marmi adorno / Il vago tetto il mostra. / Fe' il gusto, Dio difficile, / Il giardin Sacro a Flora, / E numerati posevi / Fior, fronde e sassi ancora". Così cantava le meraviglie della villa la penna settecentesca dell'erudito locale, il Franceschini.

L'estremo intervento di ridefinizione architettonica Villa Mansi lo subì nel 1742, quando l'abate Giovan Francesco Giusti fece realizzare l'aggraziata facciata barocca. Concepito da Juvarra fra il 1724 e il 1725, il parco s'ispirava a dettami d'Oltralpe, era ricamato da elaborati parterre di bossi educati, vi figurava un pavillon d'horloge, mentre la sua anima erano i numerosi e sorprendenti giochi d'acqua, immancabili in ogni giardino dal Manierismo al Rococò. Del suo impianto sopravvivono oggi soltanto pochi frammenti, consistenti soprattutto nel capriccioso percorso acqueo che scompare sottoterra per poi riapparire e gettarsi nella vasta peschiera, anch'essa dovuta all'immaginario juvarriano. Attorno alla peschiera, alte sulla balaustra che la racchiude, si stagliano otto grandi scolture a soggetto mitologico. Anche le rovine della Grotta di Diana, elemento decorativo che potrebbe essere associato al gusto romantico del "rudero", sono invece un retaggio arcadico dell'intervento settecentesco. Oltre al fantasma del giardino juvarriano, la villa ne ospiterebbe uno vero e proprio. Lucida Mansi, leggendaria bellezza lucchese rea di aver venduto l'anima a Satana, sembra appaia in certe notti nei saloni dell'edificio residenziale e nella oscurità suggestiva del parco.
Nonostante l'illustre ascendenza barocca, dunque, il parco attuale è siglato da una quasi totale impronta romantica. Uno spazio di ampio respiro, invaso dalla luce come un boulevard parigino di quelli voluti dal barone Haussmann durante il Secondo Impero, che allo stesso modo cancellavano ogni traccia del passato. Non deve stupire questa autentica damnatio memoriae. Il taglio ottocentesco è lo stesso che si ritrova nella vicina Villa Torrigiani ed è diffuso in tutta la Lucchesia, dove, nel primo Ottocento, l'idea di parco romantico si fa strada tra i disegni formali delle siepi di bosso e fra le aiuole nel cui cerchio magico si affastellavano corolle sfarzose e coloratissime. Lo stile naturalistico si insinua ovunque, fra rocaille e statue teatrali, in una inarrestabile marcia trionfale che solo a Collodi –estrema roccaforte delle seduzioni barocche – troverà le porte sbarrate.
Interi brani di geniale decorazione barocca e rococò saranno spazzati via senza esitazione nella prima metà del XIX secolo. E tanto grande è la passione lucchese per le nuove mode botaniche che ciò che non esiste lo si crea. Dall'amore maniacale per la camelia –fiore romantico per eccellenza, dilagante fra i nobili e la nuova borghesia in ascesa – ma anche per le gardenie, le peonie e le conifere rare, nascerà nei dintorni di Lucca un centro di ibridazione per soddisfare anche i collezionisti più esigenti.
Frutto delle trasformazioni romantiche, qui a Segromigno, è il boschetto di bambù che col vialetto di palme Trachycarpus fortunei costeggia il ponticello che conduce alla villa: echi d'Oriente che sottolineano l'atmosfera esotica conferita dalle palme giapponesi, le Musa japonica, disposte a ventaglio attorno alla peschiera. E ancora, sotto il segno dell'esotismo botanico si collocano i cedri d'Atlante, giunti in europa alla metà del 1800, e i cipressi di California, che si mescolano ai plurisecolari lecci, memoria del giardino secentesco, e ai nove impressionanti Liriodendron tulipifera alti oltre quaranta metri.

Testo; Cesare Cunaccia

fonte AD





0 commenti:

Posta un commento