Piaceri di fine inverno. Spostare delicatamente il manto di foglie che copre la scarpata sotto il grande tiglio, con il rastrello o anche con le mani, per scoprire le prime violette e la terra tiepida, scura e profumata di vita. Seminare, anche se i contadini avvertono che quest'anno bisogna andarci cauti perché siamo indietro di luna, e il freddo potrebbe fare brutti scherzi.
E tenendo i nostri germogli al riparo in casa, rischiamo di vederli "filare" verso le finestre alla ricerca della luce prima di potergli assicurare la dimora definitiva all'aperto. Ma tanta è la voglia di ripartire, incominciando dall'orto.
Una buona notizia per chi coltiva in città: se i pesticidi non ce li aggiungiamo noi, le verdure degli orti metropolitani crescono sane. Lo abbiamo scoperto facendo analizzare i prodotti ottenuti da un nostro lettore che coltiva un piccolo appezzamento a Precotto, periferia nord-est di Milano, in mezzo a tante altre parcelle per il consumo famigliare, ordinate e ben tenute, dove l'uso di oggetti di recupero, un vecchio frigo come ripostiglio, i cd appesi al vento a spaventare gli uccelli, rasentano la poesia, molto più di tanti allestimenti visti ai concorsi. E le esperienze si moltiplicano: a Berlino gli abitanti del quartiere di Kreutzberg non si sono fatti fermare dal fatto che avevano a disposizione soltanto una spianata d'asfalto: ora in quello spazio c'è un orto di 6.000 metri quadrati tutto in cassetta, nomade come i volontari che l'hanno creato. In realtà, il nomadismo è nella natura di tante piante. E talvolta basta assecondarlo per avere un bel giardino con poco sforzo. È quello che racconta Margherita Lombardi, che con l'aiuto di Susanna Magistretti e Didier Berruyer ha fatto l'appello delle "belle vagabonde" da ospitare nel proprio giardino.
Emanuela Rosa - Clot
Direttore del mensile"Gardenia"Disegno di: Massimo Demma
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