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26 giugno, 2011

Le ragioni del cuore


Noi Silvio e Sofia Della Valle di Casanova qua dove l'infanzia ci unì, questo giardino nato da un comune sogno di gioventù, adolescenti ideammo, sposi eseguimmo".
Poi una data: 1896-1916. Al di là dell'edicola di marmo che consegna ai nostri occhi di visitatori curiosi la poesia, fragile e un po' sbiadita dal tempo, di queste semplici parole d'amore si apre il racconto di una grande storia, un romanzo affascinante scritto nel verde di un giardino affacciato sulle acque del Lago Maggiore. Sul colle della Castagnola, sopra Verbania, Silvio Della Valle di Casanova e Sofia Browne incrociano i loro destini fin dai primi giochi d'infanzia, figli coetanei di due ricche famiglie — la prima di origini napoletane, l'altra irlandese — che, come molti nobili di metà Ottocento, si erano trasferite lì, conquistate dalla bellezza dei luoghi e dalla dolcezza del clima. Sono cugini, ma questo non impedisce loro di innamorarsi, e di giurare che da adulti avrebbero trasformato quel bosco dove era nato il loro amore in un giardino fantastico, in cui la natura selvaggia si sarebbe accompagnata alle più raffinate forme foggiate dall'arte, un luogo in cui le emozioni avrebbero trovato lo spazio per raccontare i segreti dei sentimenti. Il tempo passa, i due giovani si sposano e nello stesso anno, il 1896, Silvio e Sofia incominciano la creazione della loro avventura d'amore e poesia. Il terreno scosceso viene lavorato in vari terrazzamenti, uniti poi tra loro da sontuose scalinate, nell'intento di costruire un giardino degno della moda del tempo. La cultura dell'epoca è dominata da un confuso eclettismo, che guarda con nostalgia al recupero del passato mescolando indistintamente stili e provenienze. Silvio e Sofia partono così dall'idea di creare nel loro parco una grande storia dei giardini, da quello rinascimentale alle più recenti movenze del parco all'inglese. In apparenza una fredda operazione intellettuale, che sarà però completamente trasformata dalla composita sensibilità dei due protagonisti. La loro origine anglo-italiana, quell'agire fuori dal tempo che è proprio degli artisti — Silvio era poeta e musicista di talento formatosi in Germania sotto la guida diretta di Liszt, e Sofia era abile pittrice —, l'eleganza raffinata della loro cultura, che mescolava decadentismo e simbolismo alla ricerca di un mondo lontano dalla banalità quotidiana dove le cose, anche le più mute come gli alberi, potessero parlare il linguaggio dell'anima e non solo quello dell'apparire, si fusero tutte insieme. Rese ancor più vive da quella comunanza d'intenti che ogni anno accendeva più forte il loro amore. Impiegarono vent'anni per costruire questo giardino, che alla fine divenne l'immagine e il rifugio dei loro sentimenti, la realizzazione del loro grande sogno di amore, bellezza e poesia. Un'opera d'arte che potrebbe essere definita come la suggestiva interpretazione romantica di un giardino all'italiana, ma che ancora non ne coglierebbe lo spirito più profondo. Silvio e Sofia hanno interpretato a modo loro i diversi modelli del passato e li hanno mescolati tutti insieme, così come nella loro vita avevano unito amore, arte, sentimenti e ideali. In questo modo riuscirono a realizzare un grande sogno da vivere insieme giorno dopo giorno, una poesia di emozioni e sentimenti che è l'anima del parco e che ancora oggi si racconta, silenziosa, tra le geometrie dei bossi, i profumi degli osmanti, la malinconia delle camelie. Un giardino dei sentimenti, dove a ognuno di essi Silvio e Sofia hanno dedicato, secondo lo spirito romantico del tempo, uno spazio e un nome. Dal Giardino della Mestizia che, raccolto in un piano erboso privo di fiori, all'ombra delle cantore e chiuso nel silenzio di due vasche d'acqua immobile, doveva accogliere la meditazione e la malinconia, si sale alla terrazza sovrastante, dove le arcate profumate di gelsomino e i cromatismi dei fiori composti nelle aiuole di bosso sagomato accompagnano l'allegria dell'acqua che zampillando dalla fontana di Venere invitava a indugiare nella gioia del Giardino della Letizia. Un'altra scalinata e si arriva al Giardino delle Ore, con la grande meridiana centrale, scandita dai segni dello Zodiaco, che ricordava la fugacità della vita. Di qui, un piccolo passaggio conduce all'Hortus conclusus di medievale memoria, uno spazio quadrato adiacente all'oratorio romanico di San Remigio. I cipressi, l'alto muro di pietra che impediva allo sguardo di distrarsi, le urne etrusche avvicinavano al silenzio della preghiera, mentre in un angolo il verde si apriva in uno stretto sentiero chiamando a scoprire i segreti del bosco circostante. È la statua del dio Pan, figura mitologica tanto cara a quel romanticismo tedesco in cui la cultura di Silvio era cresciuta, a introdurre nella zona del parco che era stata volutamente lasciata selvaggia, perché anche nei misteri dell'ombra la natura potesse raccontare le paure e le emozioni della vita, per riuscire a carpire al silenzio del bosco la parola segreta della quiete. Pochi e ripidi gradini riportano al sole dell'ultima terrazza, quella antistante la villa, l'unica da cui il lago si veda in tutta la sua seducente bellezza, perché anche la forma delle piante più piccole era stata studiata da Silvio e da Sofia in modo da chiudere la vista al richiamo delle distrazioni, relegando il lago a ruolo di comparsa e lasciando al giardino quello di indiscusso protagonista. Statue, cancelletti dalle delicate volute in ferro battuto, mosaici composti sui prati come fossero piccole aiuole, lapidi marmoree disseminate ovunque a raccontare nel latino la saggezza dei padri, disegnano una cura del particolare che sconfina nella leggenda, e narra di quei modellini del giardino scavati da Sofia nel legno ed esposti perfino al chiaro di luna per studiare luci, ombre, proporzioni e prospettive. Non meraviglia che gli intellettuali dell'epoca facessero a gara per soggiornare a villa San Remigio, che accolse via via le emozioni di D'Annunzio, le note di Clara Schumann, i colori di Boccioni, gli scritti di Hermann Hesse. Affascinati e stupiti, come noi oggi, dall'armonia con cui gli aceri, i cedri, e le grandi latifoglie del giardino all'inglese si legassero alle geometrie all'italiana, alle fragranze delle piante esotiche, alla mediterraneità dei castagni e delle querce boschive. Ma il suo angolo più suggestivo il parco di San Remigio se lo tiene ben nascosto. Dietro la villa, oltre quell'edicola di marmo che porta la firma dei suoi autori, il Giardino dei Sospiri lega le sue malinconie ai roseti dell'adiacente Giardino delle Memorie. Dall'alto della scalinata l'emozione toglie il fiato, e di colpo il giardino di San Remigio che a prima vista era sembrato grandioso e grandissimo appare piccolo, racchiuso in se stesso, fragile e delicato di quei sentimenti che gli hanno dato la vita. Sospiri, per le Memorie. Di cose perdute ma non dimenticate. Silvio morì nel 1929, Sofia gli sopravvisse fino al 1960, all'età di cento anni. La scritta sulla meridiana del Giardino delle Ore è ancoa lì a ricordare, e lo fa con le loro parole:"Silvio e Sofia pongono perchè ogni dì la luce novella lambisca l'ombra delle ore che furono".

Testo di Elena Sozzi.














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