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07 febbraio, 2011

Storie di " Masi"



Nell'Alto Adige si chiamano ancora masi, che è antico termine latino, mansum da ma-nere, dimorare, quindi il maso è, in sostanza, una casa. Ma una casa diversa dalle altre. Lo scenario è quello della montagna, non quello della pianura.
Qui l'uomo deve bastare a se stesso perché i centri abitati sono lontani e comunque le sue possibilità di acquisto in denaro liquido sono limitate al minimo indispensabile. Tutto il resto deve uscire dall'autarchia del maso, cioè dalla terra che ha intorno, affidata alle diverse attitudini dell'uomo e della donna. Al primo compete, per tradizione, il lavoro pesante: il governo degli animali maggiori, bovini, equini, suini; l'aratura; il taglio dei boschi, la carpenteria. Alla seconda la gestione della casa e tutti i lavori in cui può aiutare l'uomo, come la fienagione, e la cura degli animali minori, come le galline e i conigli. Ma soprattutto è la donna che deve ricavare il massimo della quantità e della qualità del maso. I caratteri originari dell'orto sono rimasti identici nel tempo. È sempre attiguo alla casa: se possibile, anzi, è appena fuori dalla cucina. Ed è sempre racchiuso da un recinto che ha, sul piano pratico, una ragion d'essere nella necessità di tener lontani gli animali domestici, ma sembra averne anche altre simboliche e forse magiche. L'uomo resta fuori, come si addice alla forza, ed è solo la donna che entra nel recinto con il suo spirito di osservazione, la sua fantasia, la sua ancestrale vocazione di fertilità. Il recinto ha tanta importanza che nei Weistúmer medievali germanici se ne stabilisce persino l'altezza: "Ogni recinto", si legge nel Weistum di Langberg, "deve giungere fino al petto di un uomo di media statura, sia quando è fatto di verghe che quando è fatto di tavole". Le tavole sono le più usate: si tratta di solito di quelle ricavate dalle parti più alte e quindi più sottili dei tronchi. Con le medesime assi la donna può tenere insieme la terra delle aiole, evitando che la pioggia la dilavi e la disperda: anche le aiole sono disposte secondo le antiche geometrie, codificate dalle regole monastiche, da un lato e dall'altro di un vialetto centrale.La forma è quasi sempre rettangolare, come appunto avveniva nei chiostri dei conventi. E la superficie coltivabile, allora come oggi, è ripartita tra le verdure di immediato consumo e le erbe: cavoli, rape, insalata, fave, piselli, spinaci, carote, pomodori e cipolle da una parte, salvia, prezzemolo, maggiorana, santoreggia, calendola, camomilla, malva, menta, ruta, melissa, artemisia dall'altra. Le proprietà medicinali di queste erbe sono state riscoperte da qualche anno: in realtà l'esperienza dei medici antichi non era mai andata perduta, perché i loro erbari erano sempre al proprio posto nelle biblioteche: ma le ultime custodi dell'orto alpino, oggi, non conoscono certamente tutti i misteri della passata e della rinnovata sapienza. Come tutte le loro antenate, si tramandano avvertenze e precetti, quanto basta perché il cibo che cucinano abbia ancora sapori arcani e squisiti e perché alcuni dei malanni più ricorrenti della famiglia trovino un sollievo. E come le loro antenate, in un lembo del territorio di cui sono sovrane, coltivano anche dei fiori, il giglio, la rosa, la peonia, la dalia, il giaggiolo: perché anche il sorriso della gentilezza figurava come indispensabile nella dura legge del maso. Appunto perché era dura, ma saggia

Testo di : Nicola Orsini








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