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12 settembre, 2010

Giardino, luogo di cultura



Gli antichi giardini, che la civiltà legata agli Egizi e alle città di Ninive e Babilonia vede fiorire sulle rive del Nilo e del Tigri o in terrazze digradanti dalla collina dell'Eufrate, univano in un'unica struttura il tempio, l'alta torre a gradoni, detta ziggurat e l'hortus conclusus nell'intento di contaminare lo spazio sacro destinato alla liturgia e l'armonia di un cosmo di erbe e fiori.

Il giardino inizia la sua storia come luogo di cultura proponendo l'aspetto religioso. Primario, eccellente e fondante.
Nei sopraddetti luoghi di delizie erano coltivate piante non solo in omaggio alla loro bellezza e alla preziosità delle loro essenze profumate, ma anche altre da cui si potevano estrarre droghe indispensabili per il sapere medico e per l'arte della divinazione, di cui i ministri, i maghi appunto, assolvevano le ritualità, ritenute a quei tempi le più perfette ai fini della conoscenza.
Il giardino si pone fin dalle sue origini come ripresa del tutto artificiale di un paesaggio, la cui finalità estetica deve riconciliare l'uomo con l'armonia dell'universo cosmico naturale in una sorta di percorso le cui tappe sono vie di comunicazione tese a rendere attivi nella coscienza i processi della scoperta interiore e della purificazione. I giardini legati alla mistica religiosa sono l'orgoglio di passi celebri della Genesi e del Corano e, una volta diventati spazi materiali dell'uomo, della fonte scritta mantengono il carisma religioso che li vede riproduzioni di un luogo edenico.
I giardini di Karnak (1291-1279 a.C.) rappresentano nella concezione religiosa egiziana l'idea di uno spazio delimitato da un piccolo bosco di papiri dove il dio Ammone conversa con il faraone. In tutti i templi dell'Egitto i giardini prendono ispirazione dalle forme della natura ma di questa escludono la mutevolezza confermando il loro aspetto monumentale.
Le terrazze di Babilonia (VIII sec. a. C.) poggiavano su grandi arcate sostenute da pilastri vuoti, riempiti di terra. Grandi scalee collegavano i vari piani, di cui i viali erano adorni di statue di rara bellezza e di decori mentre vasche e fontane celebravano l'acqua, purificazione e lietezza per lo spirito degli ospiti. Scene vegetali mutevoli nella freschezza della loro improvvisazione dettagliavano i quadri naturali pur restando partecipi dell'unità e dei motivi dominanti della composizione.
Presso i Greci fin dai tempi omerici (VIII sec. a.C.) il giardino è appendice del tempio e dimora degli dei. Nella descrizione di Omero nell'Odissea i giardini attorno alla grotta della dea Calipso sono una selva florida e domestici vigneti. E' probabile che l'origine di questi risalga alla civiltà egea che si legava al culto della vegetazione e dei frutteti sacri, cresciuti accanto ai santuari. I Greci possedevano una concezione mitologica della natura e nel racconto sacro di avvenimenti legati al cosmo ci hanno consegnato lucide e fantasiose storie intrecciate alle vicende umane che hanno dato origine ai nomi di numerosi fiori. I nomi di Giacinto, di Narciso e di Adone sono ormai gemme della nostra cultura e rimandano a profonde radici comuni dell'umanità in quanto celebrano i sentimenti dell'amore, dell'amicizia, della perdita, del lutto e del dolore. Alludono anche ad una rinascita che consola gli uomini e lega chi vive al destino di nascita - morte che domina ogni esistenza.
E se il faraone conversava con il suo dio lungo la passeggiata di un giardino, i Greci dell'età classica lungo i viali degli orti, lasciati per lo più allo stato naturale, ma ornati da fontane e da rosate statue criselefantine, avevano la voce e il passo di Platone (428-347 A.C.), intento ad insegnare nel ginnasio alberato dell'Accademia. Teofrasto (371-288 a.C.), amico di Platone, fu il primo giardiniere della storia, inteso in senso professionista , e ci ha lasciato due libri: Ricerca sulle piante e Causa delle piante.
I Romani , che all'inizio erano contadini esiliati in città , ebbero orti e campi attorno alle loro case. Solo quando divennero conquistatori del mondo conobbero il giardino e presero a considerare il luogo come riflesso della natura e della cultura e strumento di vita interiore. Il giardino rispondeva al sentimento religioso e alle esigenze di una cultura morale e filosofica che sollecitava il pensiero con uno spazio conforme alla scena naturale ove Cicerone (106-43 a.C.) ambienta i suoi Dialoghi. Per l'oratore il giardino pone la mente a contatto con la natura e permette al sentimento di diventare libero e sognante immergendosi nel paesaggio, in mezzo ad opere d'arte greche.
Proprio Cicerone, colpito da un dolore straziante, la morte della figlioletta Tullia, pensa ad un giardino funebre, soluzione che diventerà costume per la cultura romana: tombe per due imperatori divinizzati, Augusto e Claudio, sarà un recinto sacro adorno di fiori.
Il giardino delle antiche civiltà del Mediterraneo partecipa alla sacralità come luogo legato ai culti della terra; discorre di morte e rinascita nei nomi dei fiori e con la loro associazione alle divinità; assolve al ruolo delle sepolture domestiche e di quelle ufficiali prima di entrare nella mistica dei monasteri dell'alto Medioevo e diventare un simbolo della perfezione terrestre.
Lungo il tempo, il giardino conserva la qualità del sacro nel significato interiore e universale, che lo lega alle aspirazioni dell'intera umanità. Che, nata in un giardino, a questo vuole ritornare secondo i moti caparbi del cuore per ricostruire un luogo e un momento di tregua. Con la cacciata dal luogo di ogni perfezione e con l'esodo verso il mondo l'uomo conosce il disordine, l'errore, la colpa e il giardino reintegra il caos in una costruzione formale che si affida ad un ordine la cui natura si piega alle figure della geometria e sulle proporzioni della simmetria.
Il giardino creato dall'uomo è del tutto simile a quello edenico che, quadrato, ripartito simmetricamente e irrigato dall'incrocio di quattro fiumi sgorganti dal suo centro, sarà sempre incontrastato modello di ogni nuova creazione, pur nei necessari e straordinari movimenti che nel corso del tempo e delle più diverse culture praticherà con capriccio, invenzioni, nuovi ritmi, per inderogabili necessità.
L'uomo ha continuato e continua a creare giardini per placare il suo desiderio inappagato di un mondo negato, in modi che hanno la presunzione di durare mentre scontano la provvisorietà del loro esistere. I giardini scomparsi, infatti, sono di gran lunga più numerosi di quelli sopravvissuti e la precarietà e l'effimero segnano la loro vita in analogia al comportamento dell'ospite più geniale di tali luoghi, il vegetale.
Resta, unica traccia, la memoria di viaggiatori, visitatori, artisti che nella pagina scritta permettono la ricostruzione visiva di un luogo, pronto ad affidare la sua esperienza nella speranza di una rinascita d'indomita audacia.
Se il giardino nella prospettiva religiosa collega in dialettica cielo e terra, ai due poli attribuisce felicità, peccato e nostalgia.
Tra questi due mondi in tensione, l'uomo, costruisce giardini che, nel corso della storia, sono stati ora allegorie di vita celestiale, appagati di silenzio e di autarchie, ora anche simboli di desideri inconfessabili e di passione.
Il giardino dei monaci benedettini, sobrio e assoluto, è in filigrana canto di un mondo che trova la sua pace, un madrigale idilliaco e corretto mentre il giardino di Armida nella Gerusalemme Liberata di T. Tasso (1544-1595) è peccato in forma di giardino, ove tutto è vero e tutto è falso, bello insidioso e mortale.
Ed è l'immagine di una passione quella che sorge nella mente dell'uomo, tesa a domare la realtà del male e a cui contrapporre un giardino che, nato da un eccesso di sofferenze e non dalla radiosità dei sogni, sia di consolazione e cura della nostalgia.
Fin dopo l'anno Mille la tipologia che richiamava il giardino romano, collocato all'interno di un cortile con portici e colonne, posto all'interno delle case, rimase come espressione d'arte nei chiostri del convento, murati , nelle forme del quadrato e del rettangolo, tipiche dell'hortus conclusus.
Lo spazio, avvolto dalle mura di cinta, era suddiviso da viali di differente destinazione. Il pomario, per la coltivazione di alberi da frutto di varie specie ; il verziere o erbaio per le essenze medicinali ; il viridario o giardino privato; infine le peschiere e le voliere. Secondo il trattato sull'agricoltura di Pier Crescenzi (1230-1321) che descrive giardini della gente di modeste possibilità ma anche quello del re e di altri ricchi signori , il gusto è istintivo e basato sul godimento sensibile delle specie vegetali .In tale luogo trovano espressione le tre tappe fondamentali della civiltà dei giardini : lo stato di natura, rappresentato dal giardino selvaggio, ove l'istinto dell'uomo è spinto alla caccia dalla necessità; la parte della ragione che condiziona la ricerca dell'utile e del produttivo nella scelta delle erbe racchiuse nel verziere; infine la fase del piacere e della gioia dei sensi che attorno a fontane, aiuole fiorite, padiglioni d'ombra e zone erbose riproduce l'idea edenica.
Il principale contributo rinascimentale alla storia del giardino riguarda una maggiore attenzione all'aspetto architettonico, fondato su nuove basi concettuali e il suo inserimento in una concezione prospettica che lo collega al paesaggio circostante. Il più grande fascino del parco rinascimentale è, però, la sua straordinaria capacità di fondersi con lo spirito del luogo in un'armonia che l'ha reso indimenticabile agli occhi di infiniti visitatori. I giardini erano parte della dimora signorile , una sorta di cortili interni che andavano oltre le mura del palazzo mantenendo in ogni caso stretti legami con l'architettura dell'edificio in tutti i dettagli di stile. Si conservavano ancora le recinzioni, ma era ormai caduto il loro significato simbolico medievale di esclusione dal mondo a favore di un richiamo psicologico alla solitudine e al riserbo. Le balaustre avevano lo scopo di interrompere la visuale prospettica ritagliando spazi dall'atmosfera più raccolta, riservati a diversi comparti . Un rinnovato interesse per l'antichità determina le scelte delle sculture, la cui simbologia non è più risolta nei contenuti religiosi, bensì laici e secolari. I gabinetti verdi come gloriette, padiglioni, gazebo, erano dedicati , ciascuno, ad un tema particolare : luoghi ove appartarsi per leggere, riflettere, conversare con gli amici .Vi troviamo anche il labirinto, associato ad un significato allegorico in quanto segno antico dell'uomo, figura complessa di una rappresentazione di prove iniziatiche, preliminari al cammino verso un centro nascosto.
Il labirinto vegetale piacque moltissimo al gusto edonista delle corti cinquecentesche europee che al trionfo del gioco e della bizzarria legarono le imprese della conquista erotica, perduta dietro alle gioie e alle disgrazie d'amore.
Sottraendo spazio alla foresta, rinunciando alla totalità della natura, l'uomo in questa epoca storica crea giardini dal segno forte, perfetto e razionale che si imprime sul territorio con le forme di una geometria assoluta : il quadrato, il cerchio o il triangolo dai pari lati. Nascono ora i primi trattati sistematici sull'arte di progettare i giardini che si rifanno alla tradizione romana come nel caso del De re aedificatoria di L. B. Alberti (1404-1472). Nasce l'artificioso giardino all'italiana in cui l'uomo si accinge a mettere ordine nella natura con l'intento di dominarla. In molti casi questi luoghi diventano centri d'istruzione e di studio ove aristocratici e umanisti -i membri dell'Accademia platonica - si incontrano. Come i giardini di Careggi che, acquistati da Cosimo il Vecchio nel 1417, furono trasformati dal Michelozzo (1396-1470) in una ricca e magnifica costruzione con giardino classico cintato da una siepe verde di bosso, vasca al centro e intorno comodi sedili per la conversazione.
Sugli esempi fiorentini, nel XV secolo a Roma, si sviluppa l'arte dei giardini che allarga enormemente le dimensioni del luogo fino a farlo divenire un parco nel progetto dei più famosi architetti : Raffaello (1483-1520) per Villa Madama ;D. Bramante (1444-1514) per la Corte del Belvedere in Vaticano ; P. Ligorio (1510-1583) che creò il giardino di Villa d'Este a Tivoli ; il Vignola (1507-1573) per Villa Lante a Bagnaia e Villa Farnese a Caprarola.
Il filosofo F. Bacone (1561-1626) propone una sintesi che fa del giardino il luogo materiale di un pensiero che eredita dalle utopie classiche e dai miti orientali il concetto di eterna primavera, concessa al luogo non da poteri divini ma dalle varietà stagionali di alberi e fiori mentre il rapporto ordine- disordine, di matrice religiosa, anticipa quel territorio dell'innocenza perduta, cui il poeta J. Milton (1608-1674) assegnerà il nome di Il Paradiso perduto .Il secolo barocco è anche il tempo in cui l'architettura dei giardini, secondo gli schemi ancora rinascimentali nelle prescrizioni di spazi, di ambienti, scene e fondali destinati al soggiorno all'aria aperta, si produce in una sorta di animazione, di imprevisti e di preziosità sofisticate.
I giardini creati dai poeti, i giardini letterari, possono essere associati alla facoltà immaginativa o alla fantasia di chi scrive. Alla prima categoria appartengono quelle creazioni che fanno riferimento a luoghi ora scomparsi di cui è possibile avere notizia ricercandoli attraverso le fonti scritte. Si pensi ai giardini perduti di Cartagine che G. Flaubert (1821-1880) descrive in Salammbô; al giardino "tutto de torno murato" - forse villa Palmieri a Fiesole -, che è quello in cui l'allegra brigata di giovani entra nel Decamerone di G. Boccaccio (1313-1375); al parco della regina Cornaro, esule ad Asolo, nel primo libro degli Asolani di P. Bembo (1470-1547); a Villa Aldobrandini a Frascati e al suo parterre a forma di letto che G. Casanova (1725-1798) ricorda nei suoi Mémoires . Alla seconda tipologia spettano i giardini che più arbitrari portano in letteratura il gioco dell'invenzione e la fascinazione di un luogo che ha la memoria di altri, forse possibili, forse intravisti, forse solo letterariamente conosciuti. I giardini sublimati nei Racconti di E. A. Poe (1809-1849), opera di un artista-giardiniere, poeta della natura e giocoliere d'inganni; i tanti giardini anomali, artificiali, popolati da acquari ninfee labirinti, segni inquieti della letteratura di fine Ottocento che troviamo in K. Huysmans (1848-1907) e nei supplizi di O. Mirbaeu (1850-1917), ove la natura più spontanea è compagna dei più raffinati strumenti di tortura.
Una curiosa sorte è quella del giardino di J. J. Rousseau (1712-1778), dettagliatamente analizzato nella Nuova Eloisa , che ebbe il destino di trasferirsi dalla pagina alla realtà del parco di Ermenonville .Un devoto ammiratore del filosofo, infatti, il marchese R. De Girardin (1735-1808) gli diede le forme vive e palpitanti -che ancora si possono ammirare a poca distanza da Parigi - facendo di un terreno di palude incanto e sogno.
Il giardino come realizzazione del Paradiso sulla terra doveva racchiudere tutto quanto è presente nel luogo edenico ma questo fatto non portò ad una cristallizzazione delle forme d'arte e delle scelte botaniche a questo connesse. Il giardino, continuamente in evoluzione, è specchio costante in cui la cultura guarda se stessa nella sua tradizione e nei suoi mutamenti.
Talvolta le idee da giardino sono anticipate dalla letteratura, dalla pittura , dalla filosofia come pure dai progressi della scienza e dalle attitudini politiche. Per un legame fra giardini e politica, il caso di Versailles -a cui lega il suo nome l'architetto A. Le Nôtre (1613-1700), coadiuvato da L. Le Vau (1612-1670) e da F. Mansart (1598-1666) - risulta emblematico.
Nel Classicismo di Le Nôtre il criterio visivo è dominante in quanto i giardini sono disegnati considerando il palazzo come punto di vista, osservabile da tutte le parti .Luoghi aperti, privi di barriere, suggeriscono l'idea di uno spazio infinitamente profondo .Le Nôtre volle rappresentare attraverso le soluzioni prospettiche di questo giardino i principî del potere assoluto e dell'inaccessibilità del sovrano. Luigi XIV, condannato alla magnificenza, volle un gemello altrettanto regale e, dopo infiniti dispendi, regalò al mondo Versailles con i suoi viali non più a schema ortogonale, ma a raggiera con un unico centro, come i raggi del sole. Tutta la semantica del giardino- sculture delle fontane immagini dell'astro miti- dovevano servire alla glorificazione del "re sole".
Dalle pitture murali delle tombe egizie alle rappresentazioni di C.Monet (1840-1926) il giardino ha sempre seguito il paesaggio con un sentimento, incorporato nel gesto dell'artista, che aggiunge ad uno spettacolo di per sé destinato a passare l'occasione di estendersi attraverso l'interpretazione alla sensibilità degli uomini. Nel Settecento la grande pittura del paesaggio ha fatto incontrare un pubblico sempre più vasto con le opere di J. Reynolds (1723-1792),T. Gainsborough (1727-1788) che divulgavano- secondo la maniera nordica, gli esempi di Le Lorrain (1600-1682) e il gusto per la natura panica e misteriosa di N. Poussin (1594-1665) - le bellezze dei luoghi naturali. Accanto a questo impiego l'arte pittorica ha indirizzato la sua tendenza naturalistica alle tecniche dei pittori di fiori. La scuola olandese trova nelle tele dei maestri "di velluto " -J.Brueghel (1601-1678); D.Seghers (1590-1661) - la chiave di volta per coniugare botanica e simbologia. La prima consente una perfetta identificazione di ogni singolo fiore disposto in ghirlande ornamentali, dapprima in onore della Vergine e poi di personaggi d'apparato e di importanza. Per la simbologia ogni fiore è associato ad un simbolo di virtù religiosa o ad una qualità umana.
Osservare, disporsi alla ricezione del mondo naturale, passeggiare, ascoltare... musica. All'inizio era il canto degli uccelli. Chiusi in gabbia o dentro la costruzione dei nidi erano la domestica conoscenza che l'uomo trovava negli orti medievali di cui le miniature conservano la memoria nella bellezza delle piume colorate di pavoni e fagiani e nella gaiezza di una festa con giovani che pizzicano strumenti a corde mentre altri cantano. In epoca barocca J. B. Lully (1632-1687) ideò una speciale espressione musicale d'ordine severo e simmetrico che va sotto il nome di "stile Versailles", per le feste in giardino accompagnate da balletti , pantomime e cortei. W. Mozart (1756-1791) a Salisburgo scrive musica da eseguire all'aria aperta nei caratteri del divertissement e della serenata. Non solo i concerti, ma le fontane musicali, i suoni prodotti dallo scorrere naturale delle acque, i meccanismi robotici talvolta scherzosi creati dalle invenzioni dello stile rococò, l'eco simulato trovano nel teatro di verzure varietà acustiche legate allo stupore, al gioco, alla malinconia e alla gioia.
Poesia e giardini si integrano concedendo al luogo, che si esprime attraverso una fitta rete di significati di ordine architettonico ornamentale, le corrispondenti emotive legate a monumenti, templi, iscrizioni, allo stesso paesaggio, evocato e trasformato. Il giardino, riscritto nella parola , diviene così una forma mentis non un interesse estrinseco legato al piacere della descrizione e contiene un trascendimento del reale che permette ad ogni uomo di ritrovare un'intenzione generale, un interesse comune, una pulsione condivisa.
Nel Settecento la visione commossa della natura si esprime in Inghilterra secondo regole ad un tempo suggestive e precise: creare contrasti ; allestire sorprese; celare i confini. Il giardino paesaggistico sceglie con gli architetti W. Kent (1684-1748) e L. Brown (1615-1783) di dimenticare la maniera classica mettendosi in gara con la spontaneità della natura. Il luogo deve essere letto come un libro aperto, anche misterioso, ove scoprire nei gruppi scultorei che lo ornano l'insegnamento della storia e della mitologia; nella nomenclatura botanica, divulgata da C. Linneo (1707-1778), il genio della natura provvida che gli illuministi considerano maestra dell'uomo; nel rudere, il richiamo della malinconia. Il rudere racconta di un lungo abbraccio tra vegetale e pietra. La pietra aspira per qualità materiale alla durata mentre il vegetale finisce e si rinnova seguendo il perenne destino delle cose umane. La grammatica della pietra è vigorosa come la sua sintassi e, quando il tempo chiama a sé l'opera architettonica concedendole il colore indecifrabile che piogge calure secchezze e ogni altro accidente hanno prodotto, trasforma un elemento, nato dalla mente e dalle mani dell'uomo, in qualcosa che pare nato dalla terra stessa. La vegetazione, allora, si insinua nel rudere, avviluppandolo, e insieme, abitanti pacificati di un ordine naturale, parlano agli uomini della memoria, del tempo, della storia.
I giardini devono anche assolvere ad un significato che abbia valore ai fini di una formazione culturale e al processo dell'educazione. In Russia, per volontà di Pietro il Grande (1672-1725), i giardini di Pietroburgo si riempirono di oggetti significanti, atti a diventare veicolo di civiltà e a creare contatti con le esperienze culturali europee.
L'arte della parola e l'arte dei giardini diventano inscindibili durante l'età romantica. I precursori dei giardini dell'Ottocento sono poeti come A. Pope (1688-1744) che ideò il suo giardino a Twichenham sul Tamigi ; J. J. Rousseau , ispiratore di Ermenonville; W. Goethe (1749-1832) che fece di un giardino il protagonista del suo enigmatico romanzo Le affinità elettive.
Natura e paesaggio hanno valore in quanto interpreti di uno stato d'animo e il luogo-giardino deve dispiegare la gamma di un'intera sensibilità e, soprattutto, quel sentirsi sospesi tra felicità e tristezza nella zona della malinconia che è essenziale attributo della poesia romantica.
Lo stile del giardino all'inglese, non è statico, né uguale, né conchiuso: in perenne divenire asseconda i mutamenti delle ore, delle stagioni, dell'anno. Si muove nelle sue acque, nelle fronde dei suoi alberi, nei rami sottili delle siepi; è percorso da animali, popolato da uccelli, visitato da carrozze .Durante la passeggiata l'uomo incontra la natura al di là del giardino nel circostante territorio selvatico; acquista coscienza della libertà dello spirito; scopre lungo i sentieri dalla linea serpeggiante fluida il senso dell'infinito e della lontananza, di cui l'arte romantica non è mai paga.
Nella più giovane delle espressioni artistiche, il mondo del cinema - decima musa - il giardino entra nella sala buia con la prua fluttuante di una nave fiorita: immagine del giardino cubista, creato nel 1926 a Hyères, in Costa Azzurra, dall'architetto franco-armeno G. Guévrekian (1900-1975) per il visconte Charles de Noailles e sua moglie Marie-Laure, mecenati dal gusto internazionale. Il film, girato da Man Ray (1890-1976), è come tutte le opere delle avanguardie dei primi decenni del Novecento frutto di un lavoro d'équipe e si intitola Le Mystère du Château du Dé . Vi collaborarono artisti di discipline diverse e l'esperienza si collega alle contemporanee progettazioni dal gusto puro e geometrico di R. Mallet Stevens (1886-1945), create per i padiglioni dell’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali (Parigi, 1925).
Nel Novecento l'arte, in generale, ha ripreso dal tema del giardino elementi e atmosfere di complessa ideazione percependo la natura nelle forme di una terra desolata. Nel film di S. Kubrick, Shining (1980), in una stazione invernale sulle Montagne Rocciose del Colorado, l'angoscia e il mistero di una storia convulsa si scioglie nei meandri di un labirinto - rito d'iniziazione, rito di salvezza - intricatissimo di siepi, di cui il bambino dotato di percezioni sensoriali, lo shining per l'appunto, trova l'uscita per scampare alla follia omicida del padre.
Nei Misteri del giardino di Compton House (1982), il regista P. Greenaway sembra aver ereditato dai pittori del Settecento inglese la vocazione paesaggistica che nel film trova conferma e nel titolo originale del film The Draughtsman's Contract e nei disegni della villa e del giardino, da lui stesso eseguiti, e nella calcata presenza di strumenti riferiti alla visibilità. Dal punto di vista stilistico le inquadrature, spesso dentro la cornice di una finestra, duplicano il loro effetto e confermano l'analogia tra il giardino e la tecnica cinematografica nella selezione dello spazio e nell'intento di ricrearlo come totalità.
B. Basile, L'Elisio effimero, Il Mulino, Bologna 1993.
P. Grimal, I giardini di Roma antica, Garzanti, Milano 1990.
M. Mosser- G.Teyssot, L'architettura dei giardini d'Occidente, Electa, Milano 1990.
F. Nuvolari, Hortus conclusus, Mazzotta, Milano 1986.
R. Borchard, Il giardiniere appassionato, Adelphi, Milano 1992.
D. S.Lichacev, La poesia dei giardini, Einaudi, Torino 1996.
L. Morbiato , Alla ricerca dei giardini cinematografici, in Intorno al giardino, a cura di G. Baldan Zenoni-Politeo,Guerini e Associati, Milano 1993.
L. Danielli, Giardini della poesia, Edagricole, Bologna 1993.
Fonte: Latifolia - Danielli Lina

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