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15 gennaio, 2010

Fantasie nella pietra




Nel 1218 Francesco d'Assisi fondava il convento de La Scarzuola, vivendovi per qualche tempo in assoluta povertà in una capanna di scarza, una pianta tipica del luogo che alligna non lontano dall'acqua e che ancor oggi, nelle campagne umbre, viene utilizzata per impagliare le sedie.
Passano i secoli e nel 1956 la collina e gli edifici vengono acquistati da Tomaso Buzzi, grande, imaginifico architetto milanese, caro alla più illuminata committenza dell'alta borghesia italiana.Fino alla sua morte, avvenuta nel 1981, per 25 anni Buzzi si dedicò a erigere la propria città ideale,o meglio quella che definiva "città della memoria". Una fantastica, suggestiva macchina teatrale rimasta intenzionalmente incompiuta, che permetteva un evocativo recupero di esperienze visive del passato e dava il via a una loro inedita e spettacolare ermeneutica. Per Tomaso Buzzi, La Scarzuola altro non rappresentava se non" La mia autobiografia di pietra... rifugio e pietrificazione di idee (architettoniche) rifiutate". Chi giunge alla Scarzuola nemmeno potrebbe supporre che oltre i filari di alti cipressi e il bosco si estende, lungo un percorso a guisa di labirinto, una texture di costruzioni e di padiglioni
dalle forme inconsuete e dal significato enigmatico e sibillino. Ben sette teatri, un arco di trionfo, una piramide, una torre dei venti e un'altra dedicata alla meditazione, una folla di torreggianti folies architettoniche e di figure misteriose dall'imprinting fiabesco. E vengono alla mente itinerari di secoli, memorie ellenistiche e romane, la concinnitas aguzza e albertiana del quattrocentesco Luca Fancelli nella Mantova gonzaghesca, Giulio Romano e l'inquieta trasfigurazione araldica di Palazzo Te coi suoi bugnati rustici deflagrati, la Maniera capziosa e pirotecnica di Bomarzo e Villa Lante. E ancora, in questo delirio pulp, virtuosistico fino alla vertigine, riaffiorano Vignola, il Desert de Retz e le proiezioni oniriche di John Soane, tutta una trama tumultuosa e stupefacente che va idealmente da Piranesi alla metafisica di De Chirico, da Man Ray alla cerebrale architettura picta di Massimo Scolari e Leon Krier.Una terrazza a giardino si pone tra il convento che Buzzi chiamava "città sacra" e la città ideale che egli stesso aveva concepito. Un piccolo corso d'acqua, nato da una sorgente che scaturisce sulla cima della collina, attraversa le due distinte città, idealmente collegandole, apportando una significazione di vita ed energia vibrante  e sempre rinnovata a tutto ciò che si impagina sui versanti del colle.L'attuale proprietario, Marco Solari, erede di Tomaso Buzzi, ha ripristinato i vecchi pergolati d'uva creando nuove aiuole, composte di fiori di un solo colore in maniera tale da formare riquadri monocromi netti e definiti. Secondo tradizione, San Francesco piantò al convento della Scarzuola un lauro e un cespuglio di rose  forse allusione al culto mariano. Un profumato binomio botanico che Solari ha seguito fedelmente nei lavori di ristrutturazione avviati negli ultimi decenni. Siepi d'alloro e roseti,svettanti cipressi, essenza tipica della zona, sacri fin dall'antichità classica,si accostano così alla scarza palustre che dà il nome al luogo,presente in abboddanza nei numerosivasconi del giardino.

Testo di Federico Maturi

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