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17 luglio, 2011

Oasi Vittoriana


 Era così, come questo di Ilmington Manor, il giardino di Olivia immaginato da William Shakespeare per La dodicesima notte? È una domanda ovviamente oziosa, ma non poi tanto dato che il luogo ove si trova, Shipston-on-Stour nel Warwikshire, dista solo qualche miglio da Stratford-on-Avon, la città natale del bardo d'Inghilterra. In ogni caso è molto inglese.
Il suo schema, concepito nel 1919 con incredibile preveggenza estetica dalla mamma dell'attuale proprietario Dennis Flower (nomen omen, va sottolineato), si rifà rigorosamente al canone del giardino vittoriano, ovvero all'idea, figlia di un periodo di intenso eclettismo e di ancor più spiccato storicismo, di un giardino dentro al giardino: grande quattro acri (poco più di un ettaro e mezzo), questo di Ilmington Manor è infatti separato dall'ampio parco circostante mediante un perimetro murato e al suo interno mescola con molta fantasia le medievali nozioni di hortus conclusus e jardin royal secondo la lezione seicentesca di William Lawson, autore di The Countrie Housewife's Garden e di A New Orchard and Garden, laddove nel parco vige il concetto di pittoresco coniato e propugnato dai grandi gardeners settecenteschi come Lancelot Capability Brown, James Bridgeman e William Kent. Per inciso il termine gardener che indica non già il giardiniere, ma colui che progetta un giardino, fu inventato nel 1784 dallo scrittore "gotico" Horace Walpole per qualificare Bridgeman e Kent da lui ritenuti i padri fondatori del giardino moderno. Chiusa questa dotta dissertazione, torniamo a Ilmington Manor e iniziamo una rapida ricognizione nella sua esuberante antologia di specie botaniche rare e meno rare studiata in modo da offrire, quasi in ogni periodo dell'anno, qualche suggestivo spunto di colore sagacemente tessuto nel fitto manto dei verdi – il prato, il fogliame, le microarchitetture rivestite di muschio – di ogni tono e gradazione. Proprio attigue alla casa, una solida e nobile costruzione georgiana realizzata con la pietra delle vicine Cotswold Hills, s'incontra una Carpenteria californica: una sorta di nebulosa che è ora un
trionfo di candidi fiori a forma di stella. Al suo fianco, tempestata di corolle bianco-rosee, ecco una gigantesca Actinidia kolomikta. Più in là, a segnalare un vialetto, un tutore ad arco sostiene una danza. di lanterne bianche: sono i fiori di una lussureggiante Wistaria. Poi ci sono le sfumature blu-violacee di una parete di salvia, ci sono piante di Euphorbia e di digitale, ci sono rose "Iceberg" rampicanti, rose "Gruss an Aachen", rose "Just Joey", campanule, preziosi gerani bianchi del Kashmir, densi ammassi di petunie: coriandoli, anzi arcipelaghi di colore dispersi in un mareggiare di verdi. È come se qui, in questo giardino nel centro dell'Inghilterra dove la campagna è più campagna che in ogni altra parte del mondo, l'arcobaleno si fosse d'improvviso moltiplicato e contemporaneamente parcellizzato in seguito a chissà quale mirabolante esperimento biologico. Poi, oltre il recinto murato, dissimulato da siepi modellate secondo i principi dell'ars topiaria, la natura riprende il sopravvento: l'umano artificio, la botanica domesticata cede il passo al fascino del paesaggio teorizzato da Humpry Repton nel 1795: che non è naturale, ma illuministicamente imita la natura introducendo, su una scena all'uopo preparata, laghetti (qui sono due , i Flower li usano per  pescare) , cascatelle, dossi e disposizione consapevolmente disordinata di alberi e cespugli.

Testo ; Riccardo Bianchi

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