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21 giugno, 2010

Giardini:Storia,amore e poesia



Anche la strada che raggiunge la villa da Pisa o da Lucca ci parla di un tempo trascorso, quando gli amori, gli ardori, le guerre, sapevano di poesia, e la vita veniva scritta in corsivo inglese su pagine di diario bagnate di lacrime.
Molti anni fa era la via più diretta che univa le due città, segnata da stazioni di posta dove polverose carrozze si fermavano a cambiare i cavalli.Su una di queste diligenze nacque – a quanto si narra – l'amore contrastato fra la giovanissima Isabella Roncioni e il poco più che ventenne Ugo Foscolo, non ancora bello di fama e di sventura ma già segnato da un destino napoleonico nelle lettere e nelle armi. La famiglia Roncioni, pisana d'antiche origini, aveva da pochi decenni trasformato in villa di delizie tipicamente settecentesca una dimora campestre del Quattrocento con orti, frutteti e giardino geometrico all'italiana. Un'ariosa facciata con un corpo centrale a tre piani e due ali più basse che allungano l'edificio sullo sfondo della collina, ampi prati bordati di siepi, minuscoli rivi mormoranti fra prode erbose, laghetti, una grotta artificiale dove muschi rocciosi si alternano alle conchiglie e i giochi d'acqua si contrapponevano agli zampilli del vino che fluivano da due mascheroni marmorei.E,infine,come personaggi pitrificati dal mito,figure di terracotta inneggianti a Bacco,ad Arianna e alla loro pagana felicità.Poi la storia cominciò a galoppare,e con essa il cuore dei poeti e delle fanciulle. La bionda Isabella prese nei sentimenti e nell'ispirazione del Foscolo il posto occupato in precedenza da Teresa Monti e la sostituì come protagonista femminile nelle ultime lettere di Jacopo Ortis.

Il giardino, che celebrava un'ordinata gioia di vivere, si trasformò in una rappresentazione di quella esaltata malinconia di cui si nutriva lo spirito dei romantici; il culto di un passato, più vagheggiato nei suoi fervori che conosciuto nelle sue asprezze, dettò nuove regole architettoniche di gusto medievale negli edifici che completavano la proprietà.Oggi il fascino che promana dalla villa e dal parco nasce dallo sviluppo armonico di ragioni ed emozioni diverse, sommate nel corso dei secoli.L'accesso dalla strada, utilizzato alcuni decenni or sono da Roberto Rossellini per una breve sequenza del suo film Paisà, è insieme sobrio e monumentale. Non occorre neppure varcarlo che già si aprono dinanzi alla villa i due vasti prati all'inglese su cui la facciata dell'edificio padronale spicca per chiarità tipicamente toscana.Sulla sinistra, addossata alle falde di un poggio, un lungo fabbricato a bifore, pinnacoli e cuspidi appare guardato da due crociati che mostrano negli scudi il cavallo corrente dello stemma Roncioni. È la Bigattiera, destinata nell'Ottocento all'allevamento del baco da seta, costruita nel 1830 su schemi neogotici dall'architetto pisano Alessandro Gherardesca.



Alle medesime suggestioni nordeuropee obbedì, nel 1846, la modifica della cappella, collocata all'estremo opposto della distesa prativa. È l'unica parte che è stata salvata di un intero edificio demolito verso la metà del secolo scorso.Ora, così isolata e nascosta tra gli alberi, sembra una chiesetta di favola. Nel suo interno riposano le spoglie degli antenati, anche se la leggenda vuole che, nei fruscii della notte, si confonda ancora il passo d'Isabella Roncioni in furtivi incontri col Foscolo sulle sponde del vicino laghetto, dove il groviglio delle fronde, i cupi riflessi dell'acqua, un isolotto folto di canne, impraticabile e tenebroso, ricreano un'atmosfera da passioni e disperazione.


Un'impressione destinata a mutare via via che si risale al ninfeo – o tempio di Bacco –, l'arcadica grotta di cui si è già parlato all'inizio e dalla quale si raggiunge, con un breve percorso attraverso i prati e fra gli alberi cresciuti in sapiente disordine, e costeggiando una vasca dove giocano due guizzanti delfini di pietra, l'ingresso posteriore della residenza.

Massimo Griffo

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