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25 ottobre, 2010

La collina dei giganti




C'è un luogo, vicino al lago d'Orta, dove ogni cosa parla la parola della grandezza. Al limitare dell'antico borgo piemontese di Ameno, Villa Monte Oro si alza orgogliosa sulla sommità del colle che le dà il nome. Un nome curioso, nato dai riflessi aurei dei vigneti di uva bianca che in origine rivestivano le pendici dell'altura, scomparsi a fine Ottocento per lasciar posto a un parco di 240.000 metri quadrati.
Ma l'estensione del terreno, comunque insolita per un giardino privato, non è che il primo capitolo di una storia di grandezze.E' il 1896 quando il conteGaudenzio Tornielli incontra la maestosa bellezza di Monte Oro. Se ne innamora perdutamente, e senza pensarci troppo decide di abbandonare il palazzo di Ameno dove la famiglia viveva dal seicento per trasferire lì destini della nobile casata. La fatica del suo sogno è grande un,itera collina deve essere ridisegnata, ma ancora più forte è la sua passione per gli alberi. Decide di volerne a migliaia, e per dar loro la vita affronta disboscamenti che sembrano impossibili e viaggi ai confini del mondo da cui torna con specie sconosciute. Nasce un giardino monumentale, dove accanto ai faggi e ai castagni già esistenti crescono, sistemate come architetture forgiate dalla natura, sequoie, aceri, cipressi. Tutte piante d'alto fusto, fino a formare una collezione di conifere – insolita per quei tempi – di cui Gaudenzio Tornielli andava fiero.
Nel volgere di un secolo, questi alberi sono cresciuti forti e grandi come il sogno che li aveva voluti, ma come nella vita di ognuno hanno conosciuto splendori e decadenza. Dopo cento anni il loro destino sembrava tristemente segnato; gli interessi diversi degli ultimi eredi parevano aver condannato questi giganti a scomparire, soffocati dal lento e inesorabile incedere della natura. Ma ecco che un'altra passione incontra quella del giovane conte, e li viene a salvare. È quella di una donna, all'apparenza fragile e minuta, ma che spingendosi dentro il racconto della sua fatica ci svela a poco a poco la forza di un cuore nobile e generoso. È la moglie di un imprenditore, la sua ricchezza potrebbe spenderla come tanti altri, in viaggi e automobili di lusso, ma vede il degrado di Monte Oro,e la sua salvezza diventa per lei una missione. Dieci anni fa rileva il complesso con la residenza e dopo cinque anni di lavoro il giardino torna alla vita. "Man mano che gli alberi venivano liberati dai rovi sembrava quasi che mi ringraziassero", racconta con l'emozione di chi le piante le ama davvero. E deve essere un amore grande, considerando che la villa, un elegante edificio costruito a fine secolo dall'architetto torinese Carlo Nigra, lei e il marito non l'hanno mai abitata: la loro vita è altrove, e solo il parco diventa il luogo delle loro passeggiate private. Piccola mecenate della natura, cammina dentro quel sogno che sembrava più grande di lei accarezzando con tenerezza tronchi secolari, e malcelando dietro lo stupore della neofita la saggezza di un'erudizione botanica nata non dai libri ma dall'esercizio sul campo.Poco per volta, perdendosi tra i sette chilometri di sentieri come dentro a un labirinto, si apre agli occhi il disegno del parco. Due gruppi di altissimi faggi penduli, uno composto da ben 15 alberi raccolti stretti l'uno all'altro a formare un piccolo boschetto,

scandiscono il verde immenso di un prato, rubando l'attenzione del visitatore ovunque si trovi. È la loro straordinaria architettura a dettare le regole di un giardino che nasce sì a fine ottocento ma da una concezione del paesaggio già nuova e moderna. Siamo lontani, nello spirito e nella forma, dall'eclettismo romantico che a fine secolo disegnava giardini perduti tra esotismo e nostalgia. quì la natura diventa un possibile monumento vivente, da plsmare con rispetto ma da interpretare con nuova creatività. Le piante, tutte d'alto fusto, sono collocate nello spazio come libere forme scultoree, affinché con il loro portamento disegnino geometrie di nuova concezione, mentre l'anima selvaggia è lasciata al fitto silenzio dei piccoli boschi, dove comunque, ancora una volta, l'attenzione va a tronchi forgiati dal tempo quasi fossero plastiche composizioni. E oggi all'imponenza delle conifere secolari si accompagna quella dei rododendri e delle azalee, anch'essi raccolti in gruppi enormi che in primavera accendono di colore l'architettura verde del parco. Soltanto tre sono i giardinieri che con paziente dedizione si occupano di questo
gigantesco monumento naturale. E non si può certo fare a meno di pensare che anche a loro la natura abbia regalato un grande cuore.

Elena Sozzi

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